Da una parte la vittoria transalpina di Emmanuel Macron, presidente in marcia e senza partito. Dall’altra la sconfitta elettorale e in qualche caso la dissoluzione politica dei partiti socialisti in tutte le ultime tornate elettorali continentali, dalla Francia alla Grecia, dalla Spagna alla Germania, fino all’Olanda. Tanto è bastato, e ci mancherebbe altro, per riaprire un antico quanto mai attuale dibattito: che fare?
Domanda legittima, ma che nelle sue prime risposte nasconde un vizio di fondo: la pretesa narcisistica delle classi dirigenti italiane, soprattutto quelle “di sinistra”, di voler coincidere con la “fine della storia”, e quindi di legare ogni scelta non a una prospettiva, ma al proprio immediato destino individuale.
E così, dinanzi a una crisi epocale, che vede rompersi il patto novecentesco dello stato sociale e mette in discussione il rapporto tra democrazia e rappresentanza, il campo progressista italiano pare oscillare tra le due solite risposte: la subalternità culturale e la chiusura identitaria… continua su L’Huffington Post
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