Una della principale cause della violenza, finora verbale, che caratterizza il dibattito pubblico di questi tempi è probabilmente la definitiva negazione del valore della complessità quale elemento individuale e collettivo di lettura e giudizio di ciò che ci circonda. A idee deboli e superficiali corrisponde infatti, gioco forza, un linguaggio aggressivo, a tratti brutale, caratterizzato dalla negazione dell’altro e dell’altrui pensiero. Viene meno l’ascolto, e viene meno anche il dubbio, che è la principale caratteristica di identità forti, di radici salde, di analisi pensate, rigorose, in qualche modo sudate. Questi stessi primi scampoli di campagna elettorale, piuttosto che una competizione sulle idee, paiono essere caratterizzati da un clima di delegittimazione dell’altro, quasi di negazione vera o auspicata della sua stessa presenza, laddove l’augurio che un determinato partito scompaia è spesso superiore all’entusiasmo per la vittoria del proprio. Scomparsi i fatti, i dati, le proposte concrete legate a una visione del mondo e alla realtà (e cioè alla possibilità di applicazione), rimangono solo i botta e risposta, le battute, le accuse, il turpiloquio. Ogni argomentazione che provi ad addentrarsi in un tema riconoscendone le sfumature diviene “politichese”… continua su L’Huffington Post
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